STEFANO ABBATI

È passato un anno e mezzo, da quando Stefano Abbati dopo una lunga carriera da manager d’azienda nel settore orologiero (in Sector, direttore vendite da marzo 1999 a novembre 2000; in Binda, direttore vendite dal novembre 2000 al dicembre 2004; in Fossil Italia, direttore commerciale dal gennaio del 2005 al gennaio del 2009, e poi Managing Director no al gennaio 2015) e dopo una breve esperienza quale Vice-President & Partner in Nardelli Luxury per il marchio Liu•Jo Luxury, ha avviato la sua attività in primissima persona e, dopo aver lanciato, con successo, il brand Harry Williams, ha deciso che erano maturi i tempi anche per un altro marchio, che ha voluto chiamare John Dandy. Inevitabile è stato inter- cettarlo e chiedergli la ragione di una simile scelta, oltre che analizzare il suo punto di vista a 360°.

22 dicembre 2016

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Quale la situazione oggi nel segmento di prodotto da te frequentato, e quali le tendenze?
Le tendenze più importanti che si stanno affacciando nella fascia di mercato da me frequentata, a mio giudizio, vedono la prevalenza di un prodotto meno moda e più consistente, con contenuti più marcati e meno volatili. L’epoca dei brillantini e dei placcati oro fini a se stessi, in qualche modo sta sfumando, perché la gente, in una fase come questa, ha bisogno di qualcosa che duri più nel tempo, meno effimera e, quindi, un prodotto tradizionale e portabile che non risponda necessariamente ai dettami fashion. Dunque, ritengo sia necessario partire da un dettaglio fondamentale come la cassa, per poi offrire la possibilità al cliente di vestirla con dettagli che incontrino la sua personalità.

E, in un simile contesto, come vedi il ruolo dei grandi Gruppi e delle declinazioni orologiere di brand gestite con il sistema delle licenze?

Il fenomeno delle licenze, per me, si sta un po’ spegnendo. I grandi Gruppi difettano in creatività e hanno paura di rischiare e, dunque, di ipotizzare la perdita di quote di mercato che potrebbe associarsi a cambi di direzione. Dunque, non osano e sono lenti nelle reazioni e nelle decisioni. Ciò gioca a mio favore, perché io oso, conosco il mercato e il gusto del pubblico di riferimento, sono veloce nel cambiare nel momento in cui ne ravvisassi la necessità. In tal senso, in tre mesi sono in grado di creare e mettere sul mercato una collezione: le novità le ho, al massimo, in 120 giorni dall’avvio della produzione e il riassortimento in 60 giorni dalla comunicazione dell’ordine. Non devo fare forecast a lungo termine, ma semestralmente e, quindi, stabilire in tempo reale le migliori soluzioni ed adattamenti nel periodo. E’ il leit motiv di questi tempi: la velocità di risposta alle esigenze del cliente finale.

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Dunque, a poco più di un anno dalla presentazione di Harry Williams, ecco John Dandy…
Avrei potuto cercare diversamente il fatturato, in modo facile, bastava intervenire sul colore del quadrante e del cinturino, o porre in essere i classici sforzi creativi conservativi, ma in questo modo avrei preso in giro il consumatore.

Dunque, ho pensato ad un nuovo marchio, chiamato John Dandy. Ho cercato un nuovo approccio, indirizzandomi all’uomo di cultura in grado di miscelare ‘il sacro con il profano’, ma con il gusto, la sicurezza e il coraggio d’imporre la propria personalità. Bisogna avere coraggio per essere dandy, e non avere paura del giudizio altrui. Per differenziarsi dalla massa si deve insistere sui dettagli di stile e nei modelli John Dandy, inizialmente, sto proponendo su di una cassa vintage, cinturini leopardati o in cavallino, oppure la corona sovradimensionata a cipolla con cabochon tipo occhio di tigre.

Stai continuando ad osare…

Con gradualità, perché la prima collezione è abbastanza tradizionale. Con il tempo, su John Dandy, per il quale prevedo due lanci annuali, come Harry Williams, sulla base di una cassa classica, svilupperò un intenso lavoro sui dettagli, ossia quadranti, cinturini, cromie, in qualche caso anche con un pizzico di follia, per accogliere tutte quelle soluzioni che lo styling di Harry Williams non mi consente. L’ispirazione viene sempre dalle sperimentazioni del passato, che vanno abbinate e mixate con un senso contemporaneo del gusto e in una direzione di calibrata trasgressività.

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Sei soddisfatto dei risultati n qui ottenuti e come stai gestendo il network distributivo?
Io, per il momento, mi sto divertendo e, sinceramente, le risposte che abbiamo avuto fino ad oggi non me le aspettavo. Ho ottenuto la fiducia da parte di moltissimi clienti, e, pur avendola ripagata con il successo del prodotto, sento di avere una grossa responsabilità nei loro confronti, che non posso e non voglio tradire. Ciò è la base della fidelizzazione. Oggi, posso contare su circa 650 clienti, e il target è di arrivare agli 800 attivi. Su Harry Williams abbiamo in assortimento 130 referenze e ne lavoriamo il 75% con rotazioni annuali di stock di tre volte/tre volte e mezzo. Quando ci presentiamo ad un cliente nuovo, poi, non voglio approfittarmi e, dunque, proponiamo un investi- mento iniziale assolutamente calibrato sulle sue, e non nostre, esigenze: 30/35 pezzi, e poi vediamo se c’è sell out e come procedere. Noi applichiamo ad un’azienda piccola i concetti di una multinazionale: i clusterabili, le griglie assortimentali, etc… Ciò non spaventa il cliente, ma lo avvicina a noi. Io aborro, quello che definisco ‘il vendo-sauro’: si presenta e riempie il negozio di orologi che non escono.

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